Prostatectomia robotica radicale

La prostata è una ghiandola che partecipa alla produzione del liquido seminale. Il tumore della prostata rappresenta la neoplasia maschile più diffusa comprendendo circa il 20% dei tumori diagnosticati nell’uomo con età superiore ai 55 anni. 


Esistono differenti approcci terapeutici per il tumore della prostata: la sorveglianza attiva, la terapia focale, la chirurgia robotica, la radioterapia, la chemioterapia, la criochirurgia, la terapia ormonale, o una combinazione di queste. Tra di essi, la terapia chirurgica di scelta nel tumore della prostata consiste nella rimozione della ghiandola e viene definita prostatectomia.


Le nuove frontiere tecnologiche offrono soluzioni innovative che consentono di raggiungere risultati oncologici ottimali con l’obiettivo di garantire radicalità oncologica e la conservazione di quelle strutture anatomiche deputate alla continenza e alla funzione sessuale.  


L’ultima frontiera innovativa nel campo chirurgico della prostatectomia è rappresentata dalla tecnologia robotica. Ma in quali casi si esegue e con quali tecniche?

Perché sottoporsi a una prostatectomia radicale

Attualmente il trattamento più frequentemente utilizzato per il tumore della prostata è l’intervento chirurgico robotico che consiste nell’asportazione completa della ghiandola prostatica, delle vescicole seminali e, laddove vi sia indicazione, dei linfonodi loco-regionali.
L’intervento, nella maggioranza dei casi, è curativo in presenza di malattia localizzata.

I benefici della prostatectomia radicale robotica e le differenze con la prostatectomia radicale open o laparoscopica

La chirurgia robotica rappresenta un esempio di evoluzione mini-invasiva della chirurgia. A differenza dell’intervento a cielo aperto, consente infatti di operare con un ingrandimento visivo fino a circa 20 volte e con una visione in 3 dimensioni.

La tecnologia robotica permette di avere una profondità di campo migliore rispetto alla tecnica laparoscopica classica. La visione intraoperatoria robotica permette di riconoscere anche i più piccoli dettagli anatomici e di eseguire l’intervento con una accuratezza significativamente superiore a quanto sia possibile ottenere con la chirurgia classica a cielo aperto o con la chirurgia laparoscopica.

Grazie a questi vantaggi è possibile ottenere outcomes oncologici eccellenti garantendo tuttavia una migliore e più rapida ripresa funzionale. Inoltre i tempi di degenza, recupero e le perdite ematiche sono significativamente inferiori. L’intervento, nella maggioranza dei casi, è curativo in presenza di malattia localizzata e le sequele come l’incontinenza urinaria e la disfunzione erettile sono oggi più rare. L’eiaculazione viene perduta in ogni caso.
 
Questo tipo di intervento mininvasivo reca notevoli benefici al paziente:
  • Si asporta la prostata con maggior precisione preservando le strutture nervose;
  • Riduce le perdite di sangue che avvengono durante l’operazione, consentendo anche una successiva ripresa più facile e veloce;
  • Altrettanto rapido è il recupero della continenza e delle funzioni sessuali;
  • Le piccole dimensioni delle incisioni effettuate rispondono anche un’esigenza di tipo estetico, non lasciando cicatrici particolarmente evidenti;
  • Si riducono anche il dolore e il tempo di degenza.
Per maggiori informazioni sulle diverse tipologie di intervento per la prostatectomia, visita la pagina dedicata.

Attraverso la chirurgia robotica il chirurgo non opera con le proprie mani ma manovra un robot a distanza, rimanendo seduto a una console posta all'interno della sala operatoria. Il sistema computerizzato trasmette istantaneamente il movimento delle mani alle braccia robotiche alle quali vengono fissati vari strumenti chirurgici sofisticati quali pinze, forbici e dissettori.

L'intervento di prostatectomia radicale robotica è eseguito in anestesia generale. Durante l'intervento il paziente è posizionato supino per poter permettere l'accesso del robot. Viene eseguita un’incisione periombelicale e si induce poi lo "pneumoperitoneo" ovvero viene insufflata anidride carbonica all'interno della cavità addominale per poter creare sufficiente spazio di lavoro.

Successivamente vengono posizionati i trocar o cannule che permettono l'introduzione in addome degli strumenti robotici. Il paziente viene quindi messo in posizione con la testa rivolta leggermente verso il basso. L'intervento ha una durata di circa 3 ore durante le quali la prostata viene rimossa completamente insieme alle vescicole seminali ed eventualmente ai linfonodi pelvici quando necessario.

La vescica viene quindi ricollegata all'uretra in modo tale da ripristinare una continuità delle vie urinarie. Il paziente esce dalla sala operatoria con un catetere vescicale ed un drenaggio che verranno rimossi nei giorni successivi all'intervento.

Innanzitutto, è bene mantenere un peso corporeo costante e nella norma, seguendo una dieta equilibrata su consiglio medico. Relazionandosi con il proprio medico, il paziente saprà inoltre se può assumere o meno i farmaci a cui è abituato, specialmente antiaggreganti e anticoagulanti. Prima di procedere con l’intervento, durante la pre-ospedalizzazione vengono eseguiti esami di laboratorio, un elettrocardiogramma, una radiografia del torace e la visita cardiologica e anestesiologica.

Il paziente viene fatto alzare da letto già in prima giornata postoperatoria  e, compatibilmente con la naturale ripresa delle sue energie, viene mobilizzato in misura sempre maggiore. In prima giornata postoperatoria il paziente può solitamente riprendere a bere e ad alimentarsi in modo progressivo.

La degenza post-operatoria ha una durata di circa 3 giorni. Il catetere vescicale, che viene posizionato durante l’intervento, viene mantenuto in sede per un periodo di solito variabile da 5 a 10 giorni, a seconda delle condizioni locali intra-operatorie e del decorso post-operatorio. In rare occasioni può essere necessario mantenere il catetere vescicale in sede più a lungo.

In seguito, il paziente dovrà sottoporsi a regolari visite mediche, che comprendono il monitoraggio del livello di PSA, e l’eventuale inizio di una riabilitazione andrologia e del pavimento pelvico.

La maggior parte delle complicanze della prostatectomia robotica sono di grado lieve e vengono risolte in modo conservativo con l’utilizzo di terapie mediche; solo in meno del 2% dei casi è stato necessario rioperare il paziente per risolvere complicanze come sanguinamento (<1%), raccolte linfatiche (3%), rallentata cicatrizzazione dell’anastomosi urterò-vescicale (7%), parestesie degli arti (2%), lesione ureterale, lesione intestinale, ernia inguinale o di parete, formazione di raccolta linfatica infetta.

Nel corso dei primi 3 mesi dopo l’intervento è possibile osservare un restringimento di origine cicatriziale o dell’anastomosi uretro-vescicale o del condotto uretrale trattabile per via endoscopica (<0.5%).

Da un punto di vista funzionale, la ripresa completa della continenza urinaria senza necessità di utilizzare pannolini si è osservata nel 95% a 12 mesi dopo l’intervento. Il recupero della funzione erettile nei soggetti che non accusavano questo problema prima dell’intervento si è osservata nel 70% a 12 mesi dall’intervento.

Se la chirurgia, in particolare mininvasiva, è la branca della medicina che negli ultimi anni si è maggiormente evoluta, è in buona parte merito dei grandi progressi fatti nella robotica. Il robot da Vinci è ancora relativamente nuovo in Italia, ma sono più di 20.000 gli interventi chirurgici basati su questo strumento effettuati dal 2018. Proprio la chirurgia urologica è il campo d’applicazione primario, con alti tassi di efficacia.
 
Leggi di più andando alla pagina dedicata al Robot da Vinci.
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