Protesi spalla

L'impianto di protesi alla spalla è sempre più diffuso, sebbene si tratti ancora di un intervento meno comune rispetto alle protesi di anca o ginocchio. Il primo intervento di sostituzione della spalla fu effettuato negli Stati Uniti, dove attualmente circa 53.000 persone ogni anno vi si sottopongono. Del resto, la spalla è un elemento essenziale che ci consente di muoverci liberamente.

La spalla è in realtà un complesso articolare, a sua volta composto da cinque articolazioni. Le ossa che ne fanno parte sono omero, scapola e clavicola. La testa dell'omero si introduce nella glena, la cavità articolare della scapola, ed è così libero di muoversi in diverse direzioni. Tale flessibilità è garantita dalla cartilagine articolare, il tessuto connettivo elastico e robusto che ricopre e protegge la superficie delle ossa. Le altre superfici dell’articolazione sono ricoperte dalla membrana sinoviale, un più sottile strato di tessuto connettivo.

Il termine “sinoviale” deriva dal termine latino che indica l’uovo ed è legato alla sua importante funzione: in condizioni normali, produce infatti un liquido simile all’albume, che lubrifica l’articolazione ed evita che avvengano sfregamenti e attriti tra le ossa. L’articolazione è sostenuta e stabilizzata da muscoli e tendini, che coadiuvano i movimenti: il sovraspinoso, il sottospinato, il piccolo rotondo e il sottoscapolare. L’intero sistema composto da muscoli e tendini prende il nome di cuffia dei rotatori.

Perché può rendersi necessaria la protesi spalla

Il complesso sistema articolare della spalla è mantenuto in equilibrio da tendini e legamenti, detti stabilizzatori statici, e dai muscoli, detti stabilizzatori dinamici. Quando fra questi stabilizzatori si manifesta uno squilibrio, possono insorgere eventi infiammatori.

La protesi alla spalla può essere la soluzione in molte situazioni. In genere, si interviene quando uno o più elementi dell’articolazione sono stati preda di traumi, infiammazioni o patologie degenerative.
Fra queste ultime, molto comuni sono:

  • Artrosi, quindi la degenerazione progressiva e accompagnata da infiammazione della cartilagine e dei tessuti circostanti. La cartilagine risulta talmente consumata che tra l’omero e la scapola non sussiste più il normale spazio articolare: ciò causa una deformazione degli elementi articolari e lo sviluppo di osteofiti, ovvero escrescenze ossee. L’artrosi può manifestarsi a causa dell’età avanzata, ma anche in seguito a forti traumi, patologie metaboliche, come diabete o gotta, o patologie infiammatorie delle articolazioni, come l’artrite reumatoide. Inoltre, anche malformazioni congenite o attività logoranti per l’articolazione possono essere all’origine dell’artrosi.
  • Tendinite, che implica l’infiammazione dei tendini associata alla degenerazione della cartilagine.
Entrambe queste patologie finiscono per causare nel paziente un dolore molto intenso, che può diventare intollerabile. Inoltre, portano la struttura anatomica dell’articolazione ad alterarsi in modo anomalo, così che anche la sua funzionalità ne risulta compromessa.

La protesi spalla può essere risolutiva anche in seguito a fratture gravi oppure in presenza di osteoartrite, ovvero una degenerazione articolare in cui l’usura è connessa all’avanzare dell’età e si manifesta soprattutto dopo i 50 anni, osteonecrosi, cioè la morte dei tessuti ossei della testa dell’omero causata dalla mancata irrorazione sanguigna, o artropatia della cuffia dei rotatori.

In genere, soprattutto nel caso dell’artrosi, la prima scelta è una terapia analgesica: l’assunzione di farmaci antidolorifici consentono al paziente di ridurre il dolore e di conseguenza recuperare la mobilità. In alcuni casi, è anche possibile ricorrere a iniezioni di acido ialuronico e, in caso di infiammazione in atto, alla somministrazione di corticosteroidi.

Quando le terapie conservative non hanno successo e il paziente si trova in una condizione di dolore insopportabile o funzionalità estremamente limitata, occorre procedere con un intervento chirurgico e l’impianto di una protesi di spalla. Si tratta da una decisione da prendere dopo un’attenta riflessione del medico, che deve valutare il livello di dolore e di limitazione funzionale dell’articolazione.

Quali sono le tipologie di protesi spalla

Prima di tutto, si distingue fra due tipologie, che rispondono a differenti esigenze di trattamento:
  • Artroprotesi spalla, ovvero l’impianto di una protesi totale della spalla. Questa va a sostituire sia la testa omerale che la glena scapolare. La protesi è costituita da una sfera metallica associata a uno stelo, che viene inserito nell’area dell’omero con l’aiuto di cemento o per incastro, e da un elemento in plastica fissato nell’area scapolare.
  • Endoprotesi spalla, detta anche protesi parziale. Con l’impianto di questa protesi si sostituisce soltanto la testa omerale. Questa modalità è indicata ad esempio in situazioni con fratture dell’omero prossimale o osteonecrosi omerale, che non comportano il danneggiamento della glena.


Protesi inversa spalla

Nell’impianto di una protesi inversa di spalla, la tecnica chirurgica richiede l’inversione della regolare anatomia della spalla, così da ripristinare la funzionalità del braccio. Questa tipologia di protesi spalla, studiata nel 1985 dal dottor Paul Grammont, si è diffusa notevolmente. Viene descritta come “inversa” proprio perché le sue componenti protesiche sono state studiate invertendo quelle previste dalla protesi totale: è infatti composta da un elemento di forma emisferica che va posizionato nella cavità scapolare e da una componente concava da innestare sulla testa dell’omero.

La protesi spalla inversa è indicata nei pazienti con un’artrosi che ha dato come risultato la rottura insanabile della cuffia dei rotatori. Questo fenomeno è il risultato della rottura dei tendini in quella stessa area anatomica, che a sua volta provoca la risalita della testa omerale e il danneggiamento della cartilagine. La protesi di spalla inversa lateralizza quello che è il centro di rotazione dell’articolazione, coinvolgendo maggiormente il deltoide in compensazione dei tenditi rotti.

La protesi inversa della spalla è però controindicata se il paziente soffre di osteoporosi di grave entità, poiché la debolezza delle ossa incrementa il rischio di frattura durante l’operazione e la possibilità che la protesi venga mobilizzata troppo presto, oppure se il nervo circonflesso che innerva ascella e deltoide risulta leso e compromesso.
 

Protesi anatomica di spalla

Con la protesi anatomica di spalla, al contrario, si va a riprodurre chirurgicamente l’anatomia standard della spalla stessa, quindi della scapola e dell’omero: viene innestata a livello scapolare una coppa metallica, mentre una sfera in metallo viene connessa alla parte superiore dell’omero. Questa tipologia di protesi è maggiormente opportuna quando il paziente ha fra i 60 e i 70 anni d’età, soffre di artrosi gleno-omerale e la cuffia dei rotatori è integra e ha conservato una certa efficienza. Viene utilizzata fin dagli anni ’50 e per lungo tempo è stato il modello di protesi più utilizzato.
Negli ultimi anni sono anche state studiate protesi di rivestimento o emicefaliche, che prevedono la sostituzione della superficie della testa omerale con un cappuccio privo di stelo.

L’intervento di protesi spalla

A fronte di un danno all’articolazione della spalla, l’opportunità di un intervento e di un impianto di protesi viene attentamente valutata dallo specialista in base alla singola situazione del paziente, che comprende non solo l’entità del dolore percepito, ma anche il livello di limitazione funzionale della spalla, età, stato di salute, professione e stile di vita. La protesi spalla ha infatti un obiettivo principale: eliminare il dolore e agevolare il movimento nel miglior modo possibile. Questa prima valutazione verte in modo particolare su stabilità, forza e movimento della spalla e si basa anche sui dati forniti dagli esami diagnostici: se il dolore, la debolezza e le limitazioni nel movimento hanno raggiunto un livello tale da ostacolare le normali attività quotidiane o perfino il sonno notturno, il paziente può essere un buon candidato all’impianto di protesi di spalla.

Ma anche per un intervento di protesi alla spalla sussistono controindicazioni.
In particolare, viene considerato non attuabile in tutte quelle situazioni in cui i muscoli connessi all’articolazione siano gravemente compromessi o se si rileva l’impossibilità di attuare l’opportuno trattamento riabilitativo in seguito all’operazione.

Se il paziente viene giudicato adatto all’operazione, seguirà la pianificazione dell’intervento, che può essere eseguito con diverse tecniche: sarà quindi cura del chirurgo comunicare al paziente la tipologia di operazione e di protesi della spalla, nonché ciò che si attende di perseguire.

In sede di intervento, verrà effettuata un’incisione sull’area anteriore della spalla, fra deltoide e grande pettorale, prima di procedere a eliminare gli elementi ossei consumati. L’uso dell’anestesia locale, talvolta combinata con una sedazione, consente al paziente di non sentire alcun dolore durante l’operazione, che raramente comporta complicazioni. Trattandosi in ogni caso di una procedura chirurgica, il paziente dev’essere consapevole dei possibili rischi, come problematiche nella mobilizzazione della protesi, infezioni, danni a nervi o vasi sanguigni. Nell’impianto di una protesi spalla la durata dell’intervento può variare da 1 ora a 2 o 3 ore al massimo, a seconda del paziente.

Una volta a casa sarà necessario seguire con grande attenzione le indicazioni del medico, così da contribuire al successo dell’operazione. Una buona strategia è rendere accogliente la propria abitazione ancora prima dell’intervento stesso, così da semplificare i tempi di recupero: ad esempio, disporre gli oggetti indispensabili in una posizione facilmente raggiungibile, quindi non su mobili alti. Anche se tutto dipende dalla singola situazione, dopo un intervento di protesi alla spalla i tempi di recupero sono solitamente questi:
  • Per le prime due settimane, il paziente deve poter contare su un aiuto per cucinare, lavarsi e vestirsi.
  • Per circa 30 giorni il paziente deve indossare un tutore per proteggere la spalla.
  • In genere, si può tornare a guidare il proprio veicolo dopo 2 mesi dall’operazione, e in ogni caso non prima di una conferma da parte del proprio chirurgo.
  • Sono necessari dai 4 ai 6 mesi per recuperare la funzionalità della spalla.
Il tipico dolore post-operatorio può essere serenamente affrontato con farmaci analgesici ed è assolutamente normale notare un certo gonfiore nella zona dell’incisione. La ferita va curata seguendo i consigli del medico ed eventualmente è possibile attenuare ulteriormente il dolore con l’utilizzo di cuscini per tenere in avanti la spalla operata.

Questa va comunque rafforzata con un piano di riabilitazione ad hoc, poiché, se certamente l’intervento può risultare risolutivo per il dolore e per le più forti limitazioni del movimento, il paziente noterà che la funzionalità della spalla operata non sarà pari a quella della spalla sana. In ogni caso, sempre in base alla situazione di partenza, sarà più che soddisfacente. Fra i movimenti da evitare con una protesi di spalla inversa, i più rischiosi sono quelli di intrarotazione, come ad esempio il semplice tocco della mano nella parte bassa della schiena.

Ma oltre che proteggere il lavoro del chirurgo, bisogna anche aiutare i muscoli a rinforzarsi, in particolare il deltoide e la muscolatura scapolare, che si muoverà di più per rispondere alla minore mobilità dell’articolazione. Entrambi verranno quindi stimolati e attivati con esercizi appositi concordati con un fisioterapista.

In generale, durante il periodo di recupero, è bene usare il braccio non operato per sollevarsi dalla sedia o dal letto. Per le prime 6 settimane non avvicinare oggetti attivamente (ad esempio aprire le porte). Per non premere troppo sulla ferita, è consigliabile indossare vestiti ampi. Per convivere tranquillamente con una protesi spalla bisogna evitare sforzi particolari, lo spostamento di carichi pesanti, la pratica di sport che implicano movimenti bruschi della spalla, l’uso di attrezzi come zappe o vanghe. Si deve inoltre limitare il più possibile l’eventualità di cadere o farsi male al braccio operato: può risultare molto difficile trattare una frattura in quella zona.

Una domanda particolarmente diffusa fra i pazienti è: quanto dura una protesi di spalla?
Secondo i dati disponibili, il 90% dei pazienti presenta una buona funzionalità della spalla a 10 anni dall’impianto, un numero che cresce fino a 20 nell’80% dei soggetti. Tale situazione può ulteriormente evolversi in positivo, grazie all’evoluzione della tecnologia e l’utilizzo di materiali innovativi. A proposito di materiali, è utile ricordare che alcuni elementi della protesi spalla possono consumarsi, in particolare quelli in plastica di polietilene. Per non affrettare questo processo, è bene non sottoporre la spalla a movimenti particolari o impegnativi.

Trattandosi di una protesi con elementi in metallo, si pone il problema del suo rilevamento in determinate circostanze. Ad esempio, un metal detector in aeroporto può individuare una protesi alla spalla, soprattutto se essa contiene alte quantità di cromo cobalto.

Altra questione è quella della risonanza magnetica: se un tempo un paziente dotato di protesi metallica era impossibilitato a sottoporsi a questo esame, oggi sono disponibili alcune tecniche diagnostiche studiate appositamente per soggetti con protesi.

Le informazioni contenute nel Sito, seppur validate dai nostri medici, non intendono sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.

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