Bypass

Il bypass è una tecnica cardiochirurgica con cui si realizza una via di passaggio alternativa per il sangue, bloccato da un’ostruzione delle coronarie.
 

La salute dell’organismo deriva dal corretto funzionamento di sistemi altamente complessi e caratterizzati da un equilibrio straordinario. In alcuni casi, per prevenire patologie cardiache anche molto gravi, è necessario ricorrere a un bypass, detto anche bypass cardiaco, coronarico o aortocoronarico.

Bypass aorto-coronarico: cos’è e come si relaziona con il cuore

Tutte le sostanze nutrienti fondamentali giungono infatti a destinazione grazie al cuore, la cui struttura determina il grado di circolazione sanguigna.

Fattore imprescindibile del buon andamento del processo è rappresentato dalle due coronarie, vasi sanguigni arteriosi che ramificano intorno al cuore. Entrambe originano dalla radice aortica, primo tratto dell’aorta ascendente. È interessante notare che la rispettiva modalità di ramificazione non è sempre la stessa all’interno della popolazione mondiale: la coronaria destra si dirige verso l’area destra del cuore, dividendosi in arteria discendente posteriore, arteria marginale destra e, nel 60% circa delle persone, arteria del nodo seno-atriale e del nodo atrioventricolare. La coronaria sinistra segue invece la propria direzione, ramificandosi in arteria discendente anteriore sinistra e arteria circonflessa sinistra, che nel 40% delle persone genera quella del nodo seno-atriale e del nodo atrioventricolare.

Le coronarie assicurano l’apporto corretto di ossigeno al miocardio, la componente muscolare del cuore, e alle valvole atrio-ventricolari. Entrambi questi elementi hanno un ruolo molto importante: al contrario degli altri muscoli striati, il miocardio si muove involontariamente e le cellule pacemaker che ne fanno parte partecipano alla generazione degli impulsi nervosi alla base del battito cardiaco; le valvole cardiache hanno invece il compito di dare la giusta direzione al flusso sanguigno. Ecco perché è essenziale che miocardio e valvole siano sempre ben ossigenati e dunque che le coronarie godano di uno stato ottimale di salute.

È in questo contesto che può rendersi necessario un bypass coronarico: è la tecnica cardiochirurgica che permette di far passare nuovamente il sangue in caso di ostruzione delle coronarie e far arrivare così l’ossigeno a tutti i tessuti.

Il bypass consente di costruire una via alternativa per il flusso sanguigno, che oltrepasserà l’accumulo di grasso, o placca aterosclerotica, formatosi sulle pareti dell’arteria. È infatti l’aterosclerosi la patologia principale che colpisce le coronarie, che fra le arterie sono le più suscettibili al suo insorgere. La presenza della placca fa sì che l’arteria si restringa sempre più con il trascorrere del tempo, con conseguente mancanza di spazio per il passaggio del sangue: l’assenza di un flusso regolare ostacola l’ossigenazione dei tessuti, fino a portare in alcuni casi a ischemia cardiaca.

L’aterosclerosi, la cui evoluzione è molto lenta e graduale, può essere favorita da patologie o fattori d’altro tipo: diabete di tipo 2, obesità, ipertensione arteriosa, fumo, predisposizione genetica, sedentarietà, stress ad alti livelli.

L’aterosclerosi può non dare alcun tipo di sintomo fino alle fasi più avanzate, rendendo quindi basilare il ruolo della prevenzione. In ogni caso, è assolutamente necessario sottoporsi a urgente visita cardiologica quando si lamentano:
 
  • Angina pectoris, ovvero il tipico dolore acuto al petto, dietro lo sterno. Può manifestarsi sia durante lo sforzo, sia a riposo.
  • Senso di oppressione al petto.
  • Sudorazione copiosa.
  • Difficoltà nel respirare.
  • Spossatezza.
  • Dolore diffuso a spalle, braccia, stomaco, collo, mandibola e gola.

Durante la permanenza nella struttura ospedaliera, se la situazione non appare estremamente urgente, il paziente si sottopone a esami del sangue, elettrocardiogramma, ecocardiogramma, radiografia del torace, RX ToraceTC coronarica. Tutti questi esami supportano lo specialista nell’accertamento della diagnosi e nella pianificazione del miglior trattamento possibile.

Nei casi più urgenti, specialmente quando è in atto un infarto del miocardio, vengono invece eseguiti nell’immediato la coronarografia e l’intervento più adatto alle circostanze. L’infarto è la possibile conseguenza ultima di un’ostruzione delle coronarie: il mancato apporto di ossigeno può infatti portare alla necrosi, ossia alla morte cellulare, del tessuto muscolare del cuore.

Oltre alla sintomatologia, durante la visita cardiologica si raccolgono tutte le informazioni possibili sulla storia clinica del paziente. Possono essere punti di particolare attenzione cardiopatie congenite, difetti delle valvole cardiache, traumi e insufficienza cardiaca.

Si ricorre al bypass soprattutto nei casi in cui il paziente sia ancora al di sotto dei 70 anni d’età, diabetico, caratterizzato da una riduzione della funzione cardiaca, non tollerante ai farmaci antiaggreganti (aspirina), oppure quando l’angioplastica non può essere eseguita o non si è rivelata risolutiva.

In generale, questa procedura, meno invasiva ed eseguita con anestesia locale, viene considerata preferibile quando è una sola coronaria a essere interessata da ostruzione e in particolar modo se quest’ultima non coinvolge tratti lunghi. Quando invece l’ostruzione interessa le branche primarie o un numero elevato di ramificazioni, può risultare indicato il bypass cardiaco. Tutto dipende sempre dalla situazione in cui si trova il paziente: entrambe presentano pro e contro che solo un’équipe multidisciplinare esperta può valutare correttamente.

A lungo termine, il bypass al cuore ha diversi vantaggi: scompaiono i sintomi più invalidanti (come l’angina pectoris e la difficoltà a respirare), la funzionalità cardiaca migliora, il paziente può riprendere la propria attività fisica e aumenta quindi la qualità della vita.

Oltre agli accertamenti indispensabili citati in precedenza, si rendono necessarie le seguenti pratiche prima di sottoporsi a bypass aortocoronarico:
 
  • Digiunare per almeno 8 ore.
  • Riferire di eventuali terapie farmacologiche in atto e concordare la possibile sospensione.

Naturalmente, ciò non è perseguibile in caso di intervento d’urgenza, che non può certo attendere il raggiungimento delle ore di digiuno indicate.

Il bypass coronarico come si esegue? L’intervento è sempre preceduto dalla coronarografia, che si esegue nella miglior condizione possibile di visualizzazione: fino a poco tempo fa ciò era possibile solo attraverso la somministrazione di liquido di contrasto, ma l’evoluzione tecnologica ha permesso di sfruttare le risorse digitali per ridurre l’uso del mezzo di contrasto stesso. I risultati della coronarografia guidano l’operazione di bypass, poiché consentono di visualizzare le coronarie dall’interno, verificarne lo stato e scegliere il vaso sanguigno giusto tramite cui reindirizzare il flusso di sangue.


Le due principali opzioni di prelievo di un vaso sanguigno per la realizzazione del bypass sono:
 
  • Vena safena, che passa attraverso la gamba.
  • Vena mammaria o toracica interna, che passa proprio attraverso il torace.

Entrambe queste possibilità sono valide in quanto nella loro naturale zona di passaggio sono presenti altri vasi sanguigni capaci di compensarne la rimozione. Meno comune è la scelta dell’arteria radiale, che passa attraverso il braccio.

Per prima cosa, il paziente deve rimuovere abiti e accessori, e indossare il camice che gli viene messo a disposizione. Viene poi fatto accomodare sul lettino e vengono applicati tutti gli strumenti che ne monitorano i parametri vitali: la pressione sanguigna, il battito cardiaco e la saturazione dell’ossigeno nel sangue. Viene quindi somministrata l’anestesia, che sarà totale.

Due sono le tecniche disponibili per un intervento di bypass:
 
  • Procedura mini-invasiva a cuore battente, sempre più diffusa. Lungo lo sterno viene effettuata un’incisione che ha lo scopo di esporre l’area in cui è presente il cuore o in alternativa vengono eseguite incisioni di dimensioni minori. Il chirurgo preleva il vaso sanguigno prescelto e lo sutura a livello della coronaria ostruita, così da ripristinare il flusso di sangue fino al cuore. Il cuore stesso non viene fermato, come invece avviene nella procedura standard: ciò rende questa tecnica più complessa e dunque non indicata nei casi più urgenti. Sono però numerosi i vantaggi che comporta: il tempo dell’operazione si riduce; diminuisce il rischio di sanguinamento o di altre complicazioni; la degenza si abbrevia.
 
  • Procedura tradizionale a cuore fermo: dopo l’incisione lungo lo sterno, si connette il cuore a un macchinario esterno e si ferma la sua attività. È infatti il macchinario stesso a rilevarne le funzioni durante l’operazione e a far circolare il sangue all’interno dell’organismo. Una volta terminata la procedura di suturazione dei vasi sanguigni, il macchinario esterno verrà svuotato e il sangue ricomincerà a circolare grazie al cuore, che avrà ricominciato a battere.

I dati mostrano che, a dieci anni dall’intervento al cuore, un bypass arterioso risulta in funzione nel 95% dei casi, uno venoso nel 40%. Ecco perché è preferibile scegliere come condotto alternativo l’arteria mammaria, le cui pareti hanno una natura simile a quelle delle coronarie e risultano più resistenti nel tempo a restringimenti.

Ecco alcune fra le domande che più comunemente si pone il paziente:
 
  • Il bypass coronarico quali rischi comporta?
Il bypass al cuore comporta rischi simili a quelli di altri interventi chirurgici dello stesso tenore. Possono manifestarsi infezioni, embolia polmonare, aritmie, insufficienza respiratoria, insufficienza cardiaca, ictus, infarto durante l’intervento o in seguito, insufficienza renale (legata all’uso del liquido di contrasto). Un intervento di bypass coronarico implica rischi maggiori di complicanze nel caso in cui il paziente sia in età particolarmente avanzata, soffra di patologie del cuore e dei reni, o sia ricoverato per l’operazione in regime d’urgenza.
 
  • L’operazione di bypass coronarico che durata ha?
Per eseguire un bypass coronarico, la durata dell’intervento varia dalle 2 alle 6 ore, in base all’entità della situazione e alle variabili tecniche che comporta.
 
  • Quanti bypass coronarici si possono fare?
In base alla gravità della situazione, sarà cura dello specialista individuare la giusta quantità di bypass cardiaci: da uno singolo si può anche arrivare a uno quadruplo, passando per doppio o triplo.

Il paziente viene trasferito in terapia intensiva e non viene risvegliato nell’immediato: viene quindi monitorato costantemente per un tempo variabile da poche ore ad alcuni giorni, in base alle proprie condizioni. Il monitoraggio prosegue anche durante la graduale operazione di risveglio, a cui segue la somministrazione di analgesici per alleviare la naturale sensazione dolorosa.

Quando la situazione risulta stabile, il paziente può tornare in reparto di degenza, presso cui prosegue il trattamento e può iniziare l’eventuale riabilitazione cardiologica.

Dopo un bypass cardiaco, la convalescenza può richiedere tempi differenti a seconda delle condizioni del paziente. La media dei tempi prevede un’attesa di 2 o 3 giorni per alzarsi dal letto e camminare con l’assistenza del personale sanitario, e altri 5 o 6 per fare le scale. Dopo una settimana circa è possibile gestire in autonomia la propria igiene. In totale, sono necessari dai 7 ai 10 giorni prima della dimissione dalla struttura e 12 settimane per il recupero completo.

Nel post-operatorio da bypass coronarico è fondamentale che il paziente segua con grande attenzione tutte le raccomandazioni dello specialista in relazione alla ripresa delle attività quotidiane. In genere, fino alla sesta settimana dopo l’operazione è possibile eseguire quelle meno impegnative: cucinare, svolgere lavori leggeri in casa o in giardino, fare spese se i carichi non sono troppo pesanti.

In seguito, il paziente può tornare a lavorare (seppur con orario ridotto), guidare ed eseguire lavori più impegnativi. Infine, dopo tre mesi può tornare a praticare sport e condurre la vita che considera abituale.
Altrettanto importante è seguire il percorso di riabilitazione cardiologica, della durata di 1 mese circa.

Oltre a sottoporsi alle visite e agli esami di controllo (fra cui elettrocardiogramma, ecocardiogramma e coronarografia di monitoraggio), il paziente deve seguire la dieta stabilita con il proprio medico, evitare di fumare e naturalmente rispettare la prescrizione di farmaci che faranno diminuire il rischio di altri restringimenti coronarici.

Il periodo della convalescenza deve essere vissuto con un certo grado di attenzione, ma anche con la giusta tranquillità. Da un lato è assolutamente normale avere un po’ di tosse nei primi giorni dopo l’operazione, in quanto conseguenza di anestesia e ricovero, così come un senso di stanchezza entro le prime 6 settimane, poiché il corpo sta utilizzando tutte le risorse possibili per agevolare la guarigione. È inoltre abbastanza comune ossevare gonfiore o fastidio nel punto in cui è stato rimosso l’innesto del vaso sanguigno, così come percepire dolore ai muscoli o alla schiena, mancanza di appetito, stipsi, difficoltà a prendere sonno, umore basso.

È invece importantissimo contattare il medico o l’ospedale in caso di febbre alta, perdita di pus o liquidi dalla ferita, difficoltà a respirare, dolore al torace, gonfiore di gambe o caviglie, difficoltà di movimento o formicolio a bocca, braccia o gambe.
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